Occultata la notizia
che svela la bufala
della guerra tra procure
Bologna, 16 gennaio 2009
(avv. Antonello Tomanelli)
Tutto incomincia la mattina del 2 dicembre 2008, quando un drappello di carabinieri e agenti della Digos irrompe negli uffici giudiziari e nelle abitazioni di alcuni magistrati della procura di Catanzaro, con in mano un decreto di perquisizione e sequestro firmato da Gabriella Nuzzi e Dionigio Verasani, pubblici ministeri della procura di Salerno. Il procedimento parte dalle rivelazioni di Luigi De Magistris, ex pubblico ministero a Catanzaro, che si è visto “avocare” dal procuratore generale di Catanzaro le inchieste “Poseidone” e “Why not” proprio quando stava facendo luce sugli strani rapporti tra faccendieri, magistrati e personaggi di primo piano della politica italiana, primo fra tutti l’ex ministro della Giustizia Clemente Mastella.
Dopo aver ascoltato colleghi calabresi, consulenti tecnici, agenti di polizia, testimoni vari, nonché vagliato decine di intercettazioni, i magistrati di Salerno scoprono che l’inchiesta “Why not”, tolta a De Magistris, è stata spezzettata e affidata a svariati pubblici ministeri privi di un coordinamento e, in alcuni casi, della necessaria competenza. Uno di questi risulta essere addirittura un uditore giudiziario, cioè fresco di concorso. Sono sparite relazioni tecniche e verbali di polizia giudiziaria redatti sotto De Magistris. Risultato: netta prevalenza delle richieste di archiviazione, soprattutto nei riguardi dei politici. Il tutto, pare, in cambio di favori. Per questo la procura di Salerno procede nei riguardi di decine di persone, tra cui otto magistrati di Catanzaro, per reati che vanno dalla corruzione giudiziaria, al falso in atto pubblico, al favoreggiamento.
I fascicoli della “Why not” vengono così sequestrati e portati a Salerno, in quanto “corpo del reato”. Ma i magistrati campani non fanno in tempo ad aprirli. La procura generale di Catanzaro, formalmente titolare della “Why not”, emana un decreto di sequestro che le permette di rientrare in possesso di quei fascicoli, avviando un procedimento nei confronti dei magistrati salernitani per abuso d’ufficio e interruzione di pubblico servizio. Un provvedimento “eguale e contrario” a quello dei colleghi salernitani, che fonda l’impostazione mediatica della cosiddetta “guerra tra procure”. Un’impostazione che genera uno dei più clamorosi casi di disinformazione degli ultimi decenni.
Infatti, vengono posti sullo stesso piano comportamenti imparagonabili. Innanzitutto, è clamoroso che i firmatari del provvedimento di sequestro emanato dalla procura generale di Catanzaro (Domenico De Lorenzo, Alfredo Garbati e Salvatore Curcio) siano tra i destinatari del provvedimento di perquisizione e sequestro emanato dai magistrati di Salerno, e da questi indagati. Evidentemente, hanno l’obbligo di astenersi. La cosa è talmente ovvia che non necessita di ulteriori approfondimenti. E’ come se un magistrato indagato per pedofilia, al quale hanno sequestrato un computer contenente foto pedopornografiche, emanasse un decreto di sequestro per rientrare in possesso del corpo del reato.
Inoltre, la procura di Salerno indaga sui magistrati di Catanzaro nel rispetto dell’art. 11 del codice di procedura penale, secondo cui “I procedimenti in cui un magistrato assume la qualità di persona sottoposta ad indagini […] che […] sarebbero attribuiti alla competenza di un ufficio giudiziario compreso nel distretto di corte d’appello in cui il magistrato esercita le proprie funzioni o le esercitava al momento del fatto, sono di competenza del giudice […] che ha sede nel capoluogo del distretto di corte d’appello determinato dalla legge”. La “legge” cui la norma si riferisce è la L. n. 199 del 2003, secondo cui è Salerno competente ad indagare (e giudicare) per i reati commessi da magistrati i cui uffici ricadono nel distretto di corte d’appello di Catanzaro.
Una legge, invece, clamorosamente violata da quei magistrati della procura generale di Catanzaro che hanno disposto il sequestro di quanto appena sequestrato dai magistrati di Salerno. Come De Magistris si è rivolto ai magistrati di Salerno per denunciare i reati commessi dai magistrati di Catanzaro, così quelli di Catanzaro avrebbero dovuto, per ottenere giustizia, rivolgersi ai magistrati della procura di Napoli, che è il tribunale competente per i reati commessi dai magistrati di Salerno (sempre secondo la citata legge). Un comportamento, quello dei magistrati di Catanzaro, che alcuni organi di informazione hanno surrettiziamente definito “controsequestro” (figura giuridica inesistente, essendo il ricorso al tribunale del riesame l’unico rimedio esperibile contro un decreto di sequestro), ma la cui utilizzazione ha contribuito a presentarlo agli occhi dell’opinione pubblica quale atto “eguale e contrario” a quello di Salerno, ponendo così sullo stesso piano comportamenti in realtà imparagonabili e avvalorando l’idea della “guerra tra procure”.
Quanto basta perché tutti i magistrati vengano colpiti con una impressionante simmetria. Il ministro della Giustizia Angelino Alfano chiede il trasferimento dei due magistrati di Salerno che hanno firmato il decreto di sequestro, dei tre magistrati di Catanzaro firmatari del cosiddetto “controsequestro”, nonché dei rispettivi capi (il procuratore di Salerno Luigi Apicella e il procuratore generale di Catanzaro Enzo Iannelli). Non a caso il ministro li accusa, senza distinzioni, di aver posto in essere “provvedimenti abnormi”, quando di “abnorme” vi è, evidentemente, solo il comportamento dei magistrati di Catanzaro. I quali hanno esercitato i propri poteri nonostante la presenza di un evidente interesse personale e in palese violazione delle norme che regolano la competenza territoriale nei procedimenti penali contro i magistrati. Passa quindi la linea ufficiale della zuffa tra magistrati irresponsabili. E senza possibilità di smentita, visto che ai magistrati è fatto divieto rilasciare interviste sui procedimenti che trattano.
Ma l’opera di disinformazione non si ferma qui. Il 9 gennaio il tribunale del riesame di Salerno, al quale alcuni indagati si erano rivolti per l’annullamento del provvedimento di perquisizione e sequestro emesso dalla procura di Salerno, ha rigettato il relativo ricorso. In sostanza, secondo il tribunale, l’impianto accusatorio approntato dai magistrati della procura di Salerno, con particolare riferimento alla qualificazione del fascicolo “Why not” quale “corpo del reato”, è corretto. In altre parole, la cosiddetta “guerra tra procure” non è mai esistita. Vi è solo, da un lato, l’onesto, estenuante lavoro dei magistrati della procura di Salerno; dall’altro, il comportamento inammissibile, illegittimo, sotto certi aspetti delinquenziale di alcuni magistrati di Catanzaro.
In un paese a democrazia avanzata, caratterizzato da un’informazione corretta e completa, una simile notizia avrebbe dovuto saturare per giorni ogni notiziario, ogni programma di approfondimento informativo. Se per intere settimane i magistrati di Salerno sono stati descritti come un manipolo di rissosi irresponsabili in cerca di pubblicità, per questo severamente puniti su iniziativa del ministro Alfano, la valutazione della correttezza del loro operato, effettuata dall’unico organo dello Stato istituzionalmente a ciò deputato (il tribunale del riesame di Salerno) avrebbe dovuto essere considerata alla stregua di un colpo di scena. Invece no. Nessun approfondimento informativo. Addirittura la notizia è stata completamente ignorata dai telegiornali. Si è dovuto attendere il rituale intervento con cui Marco Travaglio apre “Annozero” per sentirla.
Un clamoroso caso di censura, probabilmente. O una violazione di massa del dovere deontologico di verità. Il tutto per continuare ad avvalorare la storiella della “guerra tra procure”, enfatizzato segnale di una magistratura (non di una giustizia) da modificare profondamente, e sulla quale deve poter risaltare soltanto l’iniziativa del ministro Alfano, che è un organo politico.